E se il gender gap nel mondo del lavoro si potesse eliminare stravolgendo il classico paradigma del tutoraggio?

Lo sappiamo: le donne, nel mondo del lavoro, vengono viste come una categoria fragile e vilipesa, da difendere. Il gender gap, in questo senso, potrebbe riferirsi non solo ai numeri (meno donne che lavorano e meno donne in posizioni di leadership rispetto agli uomini) ma anche ad un gap di tipo psicologico.

Un esempio lampante potrebbe essere la questione del mentoring (o tutoraggio) sul luogo di lavoro. L’idea diffusa è che le donne debbano aiutarsi tra loro: donne leader che aiutano altre donne a scalare le gerarchie della propria azienda e del proprio settore. Ma se non fosse questa la chiave? Se dovessimo, invece, cominciare a guardare il mentoring senza pregiudizi di genere, senza “dividere”, gli uomini da una parte e le donne dall’altra?

Questo non vuol dire negare che ci sia un gender gap, anzi. E non vuol dire negare che ci sia, spesso, un pregiudizio di genere negli uomini, che tendono a preferire allievi dello stesso sesso. Tuttavia c’è da chiedersi: se continuiamo a barricarci, se continuiamo a separarci, come se fosse una continua sfida di genere, riusciremo davvero a risolvere questi problemi?

 

Un mentoring senza confini di genere è possibile

Chi lo ha detto che leader uomini debbano fare da mentore ad altri uomini e leader donne debbano insegnare ad altre donne e non viceversa? Quando andiamo a vedere la realtà dei fatti, nella vita reale, ci rendiamo conto che come le donne traggono beneficio da tutor maschi, anche gli uomini possono imparare dalle donne leader. Il mentoring non ha genere.

Eppure le storie delle donne leader si concentrano su racconti che promuovono solo l’aiuto che le donne possono darsi a vicenda. Rari sono gli esempi dell’impatto positivo che le donne leader hanno sulla carriera e sugli affari degli uomini. Questo squilibrio rafforza il gender gap: soprattutto il pregiudizio negativo sulla capacità delle donne di essere il capo e di fare mentoring.

Ma gli esempi di donne leader che guidano e sponsorizzano uomini, investono e promuovono le attività degli uomini, ci sono. Carol B. Tomé, CFO di Home Depot, da poco in pensione, ha fatto da mentore al suo successore Richard McPhail. Ramon Laguarta succedette a Indra Nooyi alla PepsiCo, citandola come suo mentore.

Nel mondo della ristorazione è comune trovare una donna che gestisce l’attività di un grande chef maschio: Marguerite Zabar Mariscal, ad esempio, è CEO del Momofuku Group dello chef David Chang, mentre Kimberly Grant è il C.E.O. del ThinkFoodGroup di José Andrés, con ristoranti in 8 città. Alla faccia del gender gap!

 

Mentoring: cambiare la narrazione

Affinché le aziende, le economie e le persone ottengano i benefici derivanti da team di leadership equilibrati in barba al gender gap, è importante eliminare percezioni imprecise e persistenti sulle donne leader. Un modo per farlo potrebbe essere osservare e raccontare storie su donne che sono arrivate in alto grazie ad un mentore uomo. E viceversa, storie di uomini che arrivano al successo con un mentoring al femminile.

Del resto, come ha affermato la dott.ssa Alice Eagly, professoressa di psicologia: “gli stereotipi cambiano quando le persone ottengono nuovi punti di osservazione. ”

Insomma, cambiamo la narrazione. Basta col sostenere che le donne abbiano bisogno del sostegno degli uomini per avere successo. E basta con il sostenere che le donne possono solo aiutarsi da sole per arrivare in alto. Tutto questo rischia di aumentare il gender gap. Nel lavoro, tutti abbiamo bisogno del mentoring. E il giusto mentore è quello che sa trasferirci conoscenze, esperienze e passione per la professione, non importa che sia maschio o femmina.